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Etica sull'AI

L’intelligenza artificiale solleva importanti questioni etiche che devono essere affrontate prima che la sua diffusione superi la nostra capacità di controllo. Uno dei principali rischi è l’opacità: molti modelli, soprattutto quelli di deep learning, sono delle “scatole nere” in cui è difficile comprendere il processo decisionale. Questo pone problemi di trasparenza, specialmente in ambiti critici come la giustizia, la finanza o la sanità. Se un algoritmo decide che un individuo non può accedere a un prestito o suggerisce una terapia medica, è essenziale capire “perché” ha fatto quella scelta e oggi, spesso, non lo sappiamo con certezza. Un altro nodo centrale è la bias nei dati: se i dati su cui l’AI si allena contengono stereotipi o discriminazioni (di genere, razza, età), il modello tenderà a replicarli e amplificarli. Pensiamo a un algoritmo che seleziona CV: se storicamente ha "visto" solo uomini in posizioni tecniche, potrebbe penalizzare automaticamente i profili femminili. Lo stesso vale per il riconoscimento facciale: studi dimostrano che molte AI identificano con maggiore precisione volti maschili e bianchi, mentre hanno un margine di errore molto più alto su donne o persone con carnagione scura. Questo non è solo un problema tecnico, ma un rischio concreto di esclusione sociale.

Inoltre, vi sono questioni legate alla sorveglianza di massa, all’uso militare dell’AI (come i droni autonomi) e alla manipolazione dell’informazione, come nel caso dei deepfake: video o audio sintetici che sembrano reali, ma sono generati da AI. Questo può compromettere la fiducia nelle fonti, minare la democrazia e creare panico o disinformazione in tempo reale. Anche l’AI generativa, se usata senza controllo, può essere sfruttata per creare fake news, profili falsi, truffe o campagne di odio.

A livello occupazionale, l’AI sta già modificando radicalmente il mondo del lavoro: se da una parte può aumentare l’efficienza e liberare l’uomo da compiti ripetitivi, dall’altra può automatizzare intere categorie professionali, lasciando milioni di persone senza lavoro, soprattutto se non adeguatamente formate per nuove mansioni. Le disparità tra chi ha accesso all’AI e chi no rischiano di ampliare il divario tra ricchi e poveri, tra paesi tecnologicamente avanzati e paesi in via di sviluppo.

Una governance etica dell’AI non è un lusso, ma una necessità. Richiede collaborazione tra governi, aziende tecnologiche, università, ONG e cittadini. A livello normativo, l’Unione Europea sta già lavorando all’AI Act, una legge che classifica i sistemi di intelligenza artificiale in base al rischio (basso, medio, alto) e impone regole diverse in base all’uso. Tuttavia, le leggi non bastano: serve anche una cultura diffusa della responsabilità digitale, che metta al centro i diritti umani, la trasparenza e la giustizia sociale. La domanda che dobbiamo porci non è solo “cosa può fare l’AI?”, ma “cosa dovrebbe fare?” e chi lo decide.

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